Quanti sono i fortunati genitori che non hanno mai detto cose del tipo: “Bei tempi quando mio figlio mangiava tutto!” oppure “Perché mio figlio non mangia?”, “Perché quel cibo che ha sempre mangiato ora non lo vuole più?”. Noi di Roma03 abbiamo raccolto il parere di Antonietta Dattola, psicologa specializzata in alimentazione.
Dott.ssa ANTONIETTA DATTOLA
Psicologa alimentare e specialista in psicologia della salute
3203664579 – antoniettadattola@yahoo.it
Personalmente, visti i buoni presupposti di mia figlia, mangiatrice e assaggiatrice professionista fino a poco prima dei 3 anni, trovo difficile a volte gestire tutte quelle nuove eccezioni che sembrano spuntare fuori dal nulla. Rifletto poi a mente fredda e penso che il concetto del “nulla” poco mi aveva confortato da bambina vedendo La Storia Infinta, figuriamoci quanto possa andarmi a genio parlando dell’alimentazione di Asia…mia figlia sta definendo i suoi gusti? Rifiuta un piatto proposto troppo spesso o, al contrario, troppo sconosciuto e particolare?
Anche in questa delicata fase che si trasforma con la crescita dei nostri figli, possiamo trovare un aiuto e un sostegno. Antonietta Dattola è una psicologa e psicoterapeuta specializzata in alimentazione e ci tende la mano in questo percorso alla scoperta dello stomaco (anche e soprattutto emotivo) dei nostri bambini.
IN COSA CONSISTE IL LAVORO DELLA PSICOLOGA ALIMENTARE?
D: Buongiorno Antonietta, potresti descriverci il tuo lavoro e come, nello specifico, ti sei appassionata all’alimentazione dei bambini?
R: Il mio interesse nasce dalla mia partecipazione ad un Gruppo di Lavoro di “Psicologia e Alimentazione” istituito nel 2014 dall’Ordine degli Psicologi del Lazio. Una parte del mio lavoro si occupa di educazione alimentare e soprattutto di quelle attività di prevenzione dei disturbi alimentari e di promozione della salute della persona. Questo obiettivo è possibile solamente portando le persone a cambiare abitudini e stile di vita, in collaborazione con le figure professionali da sempre preposte al trattamento delle patologie metaboliche, aiutando i cittadini a conoscere le giuste informazioni sui problemi legati al cibo, al peso e all’alimentazione.
R: Da qui la mia passione per l’alimentazione dei bambini, per intervenire nel momento cruciale in cui si instaurano buone o cattive abitudini. L’infanzia rispetto all’età adulta è un periodo ideale per intervenire sulla salute poiché i bambini rispondono meglio e con maggiori risultati al cambiamento delle abitudini alimentari. Quasi sempre un problema alimentare non risolto perdura in età adolescenziale e adulta e costituisce un fattore di rischio per sviluppare complicanze psicologiche e sociali oltre a quelle fisiche.
“Noi siamo quello che mangiamo”, scriveva L. Feuerbach sostenendo che un popolo può migliorare migliorando la propria alimentazione; aggiungerei che ciò che mangiamo diventa l’essenza di ciò che siamo, diventa un ricordo di chi lo ha cucinato e di come ci sentivamo mentre ci preparavano quel piatto. Il cibo a tavola può diventare un elemento di autosabotaggio o un momento di profonda costruzione del Sè. Il cibo e le relazioni intorno al cibo sono la parte più importante del mio lavoro.
L’ALIMENTAZIONE DEI BAMBINI CAMBIA IN BASE ALL’ETÀ
D: Immagino che ogni fascia di età abbia bisogno di un approccio diverso. Quali sono le applicazioni della tua professione e come si diversificano con bambini di età diverse?
R: Io lavoro con i genitori per problematiche che vanno dall’allattamento fino all’inizio del divezzamento/alimentazione complementare o all’autosvezzamento/alimentazione complementare a richiesta. Così come per i bambini che mangiano troppo o non mangiano nulla o che improvvisamente smettono di mangiare, solitamente è sempre un lavoro tra me e i genitori fino ai 5/6 anni, ma ogni caso è a sé. Successivamente incontro anche i bambini, se necessario, quindi l’approccio è sì differente in base all’età, ma soprattutto cambia in base al tipo di sistema familiare che incontro.
ALIMENTAZIONE DEI BAMBINI: I PROBLEMI PIÙ COMUNI
D: Quali sono le problematiche che presentano più spesso i genitori che si rivolgono a te?
R: L’Italia è ai primi posti in Europa per l’aumento di sovrappeso e obesità infantile; la selettività e la restrizione alimentare sempre più comuni e, nei casi più drastici, sono quelli che porteranno ad una alimentazione disturbata tra dieting e disturbi della nutrizione e dell’alimentazione in adolescenza ed età adulta. Si è abbassata, in generale, l’età dell’insorgenza di tutti i disturbi alimentari, che si è spostata intorno ai 14-15 anni, con la comparsa dei disordini in bambine di 10-11 anni, con la possibilità di rilevare i sintomi già a 8 anni. Per i maschi i primi disordini si manifestano intorno ai 13 anni e solitamente sono dovuti alle conseguenze di diete drastiche.
GUSTI? CAPRICCI? QUANDO SDRAMMATIZZARE E QUANDO INTERVENIRE?
D: Non più di due mesi fa mia figlia mi ha lasciato di sasso rifiutando il suo amato prosciutto cotto. Poco tempo dopo, ha riscoperto il gusto di mangiarlo semplicemente condividendo un pezzo di crostino con un suo amichetto al parco. Antonietta, quanto e come la socialità influenza i gusti di un bambino?
R: La socialità è fondamentale e inizia a tavola con mamma e papà dal primo pasto, per questo è fondamentale stabilire dei pilastri educativi solidi; ad esempio, prima cosa via i telefoni e gli schermi! Lo so mamme non odiatemi…sarà più complicato all’inizio, ma con il giusto sostegno potrete riuscire ad avere un pasto consumato senza l’uso di cartoni o canzoncine. Questo è importante, ad esempio, perché altrimenti il vostro bimbo, da grande, non sarà in grado discriminare quando avrà fame o meno e quindi potrebbe incorrere in seguito nel mangiare eccessivamente o per nulla.
Ma se mamma e papà mangiano una cosa che a me non piace e i miei amichetti al parco e a scuola fanno qualche assaggio…posso farlo anche io! Quando mangiano a casa degli altri, qualcosa che a casa non mangiano questo è un buon segno, non ci sono problemi in vista anzi è tutto nella norma.
D: Alcuni problemi con il cibo possono essere transitori e risolversi in breve tempo (vedi il caso del prosciutto cotto di cui dicevamo). Quali sono invece i campanelli di allarme che dovrebbero spingere i genitori a intervenire? Come prevenire situazioni più complesse o addirittura patologie?
R: I genitori devono intervenire quando tutto quello che ruota intorno al cibo inizia a diventare un motivo di ansia o una lotta di potere tra i membri di una famiglia. Già questo merita l’attenzione di una prima consulenza. A volte bastano piccoli stratagemmi per riportare l’equilibrio.
Bisogna intervenire, ad esempio, quando il bambino non mangia quasi nulla a casa/scuola, beve solo latte, ha il rifiuto del cibo solido, della frutta e delle verdure, mangia solo meno di cinque alimenti, quando mangia eccessivamente e solo cose che gli piacciono o quando la famiglia non riesce a gestire una dieta. Ripeto, ogni famiglia e ogni bambino hanno un percorso unico e così va trattato il percorso di consulenza.
ALIMENTI CHE I BAMBINI AMANO SENZA SCONTENTARE I GENITORI
D: Pasta in bianco, riso, patate. Secondo la tua esperienza ci sono cibi definibili “passepartout” che soddisfano anche i bimbi più schizzinosi senza scontentare i genitori?
R: Pensaci per un attimo, cosa hanno in comune pasta, riso e patate? Il colore bianco! I cibi bianchi sono un “passepartout” perché il bianco è il colore del latte, l’alimento meno ansiogeno in assoluto. Tutto quello che è verde ad esempio nel nostro cervello suona come “allontaniamoci.. scappiamo.. è velenoso.” Si tratta di neofobia alimentare, ovvero la paura di assaggiare cose nuove ed è un retaggio filogenetico che ci ha aiutato a sopravvivere e, intorno ai 2 anni e fino ai 6 anni, ecco che cibi divorati fino a ieri o cose nuove diventano una minaccia. Se vedo la mamma mangiare una cosa che non mi piace intanto penso che non sia velenosa, se poi lo fanno anche gli amichetti, come dicevamo prima, è più rassicurante. È un lavoro complesso ma bambino e genitori possono essere sostenuti in questo percorso da uno psicologo alimentare.
BAMBINI CHE NON MANGIANO: L’APPROCCIO PIÙ CORRETTO
D: Un tempo i bambini che non mangiavano venivano forzati a suon di minacce e ricatti, quanto questo sia controproducente lo sappiamo ormai tutti. Qual è l’approccio più efficace per rivolgersi ad un bambino che si rifiuta di mangiare?
R: Sdrammatizzare sempre! Non forzare mai il vostro bambino a mangiare. Mangiate davanti a lui gli alimenti che non gli piacciono. Proponete sempre una buona varietà e non sentitevi in colpa se ha mangiato poco, fidatevi del suo istinto: se non mangia tutto quello che ha nel piatto, vuol dire che non ne ha bisogno. Allo stesso modo se mangia troppo non eccedete per soddisfarlo o non negategli del tutto un alimento che lui adora perché anche lì andreste incontro di nuovo… a grandi sensi di colpa. Se il bambino non riconosce le sensazioni fame/sazietà continuerà a mangiare, ma è una cosa che gli va insegnata.
I bambini devono scegliere di mangiare un alimento, ad esempio le temute verdure. Considerate che una tipologia di verdura (o altro alimento) va proposta almeno 10 volte per 2 volte a settimana prima che possa instaurarsi un’abitudine. Ti faccio un esempio: mia figlia adorava fino ai 2 anni le zucchine bollite. A 3 anni ha smesso di mangiarle del tutto. In questo anno io ho continuato a riproporle senza forzarla. Poi ho avuto un’illuminazione: e se cambiassi ricetta? Adesso le mangia, ma solo se gratinate!
Come sempre, saper ascoltare e armarsi di tanta tanta pazienza risulta sempre la strategia vincente. Sapere di non essere soli e che ci sono figure professionali come Antonietta, pronte ad aiutarci, ci dà molto conforto! Noi di Roma03 ringraziamo Antonietta Dattola e, perché no, vi anticipiamo con grande piacere che la incontreremo ancora!