Manifesto del Neofemminismo nell’era dello smart working

3 Mag, 2022
silvialombardo

La quarantena ha costretto moltissimi lavoratori a rimanere a casa, lavorando oppure no, occupandosi delle abitazioni e dei figli. E catapultando molti padri nella vita di una madre. Ma i ruoli sono davvero sempre ben bilanciati? Benvenuti nel regno delle mamme in formato smart working.

La scena è questa:

Sono in salotto. Ho il pc piazzato sul tavolo, sono alle prese con un comunicato stampa da consegnare. Diana mi tira per un braccio: vi assicuro che a 41 anni non riesco a oppormi con sufficiente forza agli strattoni di mia figlia nota per aver spaccato il labbro a suo padre, ex bodybuilder, con una testata.

“Diana, amore… lo so, hai ragione: mamma sta lavorando troppo. Dammi un minuto, uno solo. TULLIOOO?”

“Mamma vIeni?” mia figlia appoggia sempre la voce sulla I della parola vieni quando vuole qualcosa da me: come fosse un arpione da infilare nel pavimento perché lei possa fare leva su di me e strapparmi alla scrivania. Mentre Diana mi tira entrambe le mani e io invoco l’aiuto del padre, cerco di inviare il comunicato prendendo a nasate il pad del computer.

Tullio, dalla camera da letto, lancia un paterno richiamo “Diana, vieni da papà”. Mi viene in mente il Signor Banks di Mary Poppins, la sua routine certa e rassicurante.

Fingere che Diana accorrerà al richiamo quando, per distoglierla da qualunque intento abbia, non bastano minacce e un coltello puntato alla gola della sua amata matrioska a forma di panda, è come una dichiarazione di guerra.

Un modo come un altro per restare qualche minuto a letto, lo stesso letto sul quale ho sognato, per giorni, di distendermi un attimo, in un momento che non fossero le 3 del mattino.

Le famiglie in Smart Working ai tempi del Coronavirus

Così mi sono tornate alla mente le parole di un’altra delle mamme di Roma03, Giorgia Ercolani, Hanno messo in smart working i mariti? Bene. Sono chiusi ermeticamente in stanza, ogni tanto aprono la porta per chiedere se è tutto ok ma la richiudono dopo pochissimi minuti perché ovviamente devono lavorare.

Fai smart working tu, mamma? Lavori con un bambino in braccio, l’altra bambina che continua a chiederti di andare a ritagliare bamboline di carta al ritmo di “mammaaaaaa”, “mammaaaaa”, “mammaaaaaa”, una cena da preparare e i bimbi da mettere a letto entro un certo orario, altrimenti già sai che si trasformeranno in Gremlins, come i Mogwai se li fai mangiare dopo mezzanotte.

Mi viene da pensare che, in fondo, di certo Tullio non è dei peggiori. È più ordinato di me – ci vuole poco: basta sganciare una molotov in salotto – non disdegna le faccende di casa, fa la spesa.

Manifesto del Neofemminismo nell'era dello smart working

La parità fra sessi in tempi di quarantena

Ed è qui che un fulmine mi incenerisce: il fatto che io faccia questo pensiero a metà fra la mogliettina grata e la mamma chioccia è grave? La solita storia che le parole sono importanti e che dire “in fondo è BRAVO” ponga noi donne, anche se lavoratrici, manager, colte, madri, multitasking, sempre nella posizione di essere quelle obbligate a dirigere e fare tutto?

Così decido di indagare su due fronti: il gruppo delle mamme di Roma03 e una chiacchierata con Tullio a viso aperto.

Ed ecco che, grazie a un messaggio sul gruppo Facebook del nostro sito, una montagna di lava fuoriesce bollendo da un vulcano che non aspettava altro che qualcuno togliesse il tappo.

uomini e donne in smart working corona virusIl messaggio bomba sganciato nel gruppo di Roma03

Non è un segreto che le donne che ora sono in quarantena con i figli, con l’aggiunta dello smart working, siano a rischio crollo nervoso ogni minuto. Perché? È solo il vecchio adagio del non sapete delegare-vi piace lamentarvi-volete che le cose siano fatte come dite voi?

Io non credo: ogni volta che ho visto Tullio far bene qualcosa l’ho immediatamente nominato custode di quel qualcosa.

Ma, ancora, non ci siamo.

La parità di genere: un problema linguistico e di pensiero

Io guardo se lui SA FARE BENE QUALCOSA e, solo allora, delego? Come se, in fondo, non fosse dotato anche lui di due gambe e due braccia e un certo numero di neuroni per assolvere a funzioni certo non difficili.

E allora continua il discorso con le mamme di Roma03 ed esce fuori quel peso che, come la terra su Atlante, ci spacca le spalle e ci tiene impegnate le mani: si chiama CARICO MENTALE.

Manifesto del Neofemminismo nell'era dello smart working

Il carico mentale delle donne e delle mamme

Tenere a mente tutto quello che c’è da fare in casa, organizzare i ritmi della famiglia, pensare alle visite mediche, alle medicine, ai compiti dei bambini. Le chat della scuola, diciamoci la verità, sono quasi sempre cosa da mamme e non ditemi che tutte le mamme lavorano meno dei papà perché bastano la casa, due bambini e uno straccio di lavoro part time, a mio avviso, per raggiungere i livelli di stress di un chirurgo!

Perché, allora mi chiedo, questa cosa che si chiama carico mentale è un cetriolo – pardon – tutto nostro? Retaggio culturale? Una specie di debito che sentiamo di dover pagare da generazioni per dimostrare che siamo brave e responsabili? Una cosa antica che continuiamo a tenerci stretta senza rendercene conto anche ora che possiamo pretendere (sicure?) di avere le stesse aspirazioni degli uomini e, quindi, lo stesso diritto di riposare, crollare, DIRE STOP?

Sì perché, nella seconda fase della mia indagine ossia la chiacchierata con Tullio, molto candidamente – come solo gli uomini sanno fare – la risposta è stata… ma chi ti dice di farlo? Uno a un certo punto dice stop!

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Ecco: a quel punto ho deciso di istituire l’ora della mamma, di imparare a dire STOP un’ora al giorno. Ora in cui io mi butto sul letto e mi guardo Grey’s anatomy o The Good Place o sfogliare un libro o un giornale o qualsiasi altra cosa mi appassioni e liberi il cervello mentre Diana sta con papà e BASTA.

Il risultato è che adesso di notte, quando si sveglia, Diana ha cominciato a chiamare anche papà e non più solo mamma, una cosa di cui sono particolarmente contenta.

Ma ancora non basta, perché sento che tutto questo discorso ha in qualche modo una glassa di gratitudine che non dovrebbe avere perché non si tratta altro di fare ciascuno ciò che può fare al massimo per aiutare l’altro e rendergli la vita un po’ meno una zozzeria, o no?

Il carico mentale delle donne e delle mamme: un antico retaggio

CARICO MENTALE, penso, fa rima con uno stupido modo di avere potere in passato, e con il senso di colpa a cui gli uomini, diciamoci la verità, sono meno soggetti. E qui pure, parlando con le altre mamme, salta fuori che i papà sono molto meno reticenti a mettere in mano un tablet ai figli o a piazzare i pargoli davanti alla TV.

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Quando ho visto mia figlia rosa dal desiderio di riacciuffare la sua ora di tablet perché eravamo entrambi alle prese con lo smart working “Mamma, tablet… peffavore!” e giù lacrimoni – ho sentito di aver fallito come madre, mentre Tullio, serafico, mi ha detto “Ma non ti ricordi le ore di cartoni giapponesi che ci siamo sciroppati da piccoli davanti alla tv?”

Lo stupido modo di avere potere, invece, ha a che fare con quell’atteggiamento che alcune settantenni di oggi hanno ancora nei confronti di figli che sembrano più vecchi di loro e ai quali si riferiscono come a dei ragazzoni mai maturati: e vabbe’, ma gli uomini sono così.

Perché ti stupisci, mi dico: in questi casi la frase fatta più gettonata è in fondo gli uomini li crescono le donne.

Già, perché: i padri dove stavano?

Il carico mentale, un’eredità pesante

E così, di generazione in generazione, queste diverse assenze paterne e queste ossessive, onnipresenti, insostituibili presenze materne, ci hanno tramandato il Carico Mentale che oggi ci portiamo appresso e che durante la quarantena si è mostrato con tutto il suo devastante e densissimo peso specifico.

Presenze materne onnipresenti e insostituibili, ma in modo molto diverso: invadenti madri di eterni cuccioli da proteggere e giustificare nel caso delle madri classe anni ’40-’50 (anche se non sempre, ovviamente), onnipresenti tappabuchi dell’intero universo, nel nostro caso. Noi che siamo già alle prese con un altro carico mentale: la ricerca della nostra autoaffermazione. Autoaffermazione che dovrebbe essere un diritto per noi piene di cultura, speranze, capacità e futuri radiosi con cui siamo state illuse grazie al miraggio delle pari opportunità.

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La quarantena ci ha mostrato la mancanza di parità di genere

Pari opportunità ancora molto lontane! E questa quarantena è arrivata come uno schiaffone a dirci ecco, cocca, il nodo dove il pettine si inceppava!

Ho letto spesso che le mamme sono quelle che in famiglia dormono di meno e non solo perché i bambini non dormono, ma anche perché la notte è l’unico spazio che possono considerare e vivere come tutto loro.

Lo faccio anche io: ho visto fior fiore di serie, attaccata al cellulare, fra mezzanotte e l’una, mentre tutta la casa dorme, con gli auricolari e con le coperte sopra la testa, in un mondo tutto mio, assai distante da quello che pensavo avrei farcito di lavori agili e soddisfacenti e una routine ben gestita.

Al suo posto, il mio mondo è fatto di infite liste che non riesco mai a depennare fino in fondo e risate soffocate sotto le coperte a mezzanotte e mezza, mentre guardo mia figlia e mi dico che comunque ho fatto assolutamente bene e sono strafelice perché era quello che sognavo da che ho memoria.

Manifesto del Neofemminismo nell'era dello smart working

Forse la quarantena ci insegnerà qualcosa in fatto di femminismo

Ma mi dico anche che qualcosa deve cambiare, e devo fare in modo IO che cambi, soprattutto perché ho desiderato per tutta la vita una figlia femmina, io che vengo da una famiglia di donne che si sono sempre date un gran da fare e che avrebbero a volte fatto meglio a prendersi un poco più cura di loro stesse.

Così questa quarantena – nella quale io, che mal sopporto la routine lavorativa, la vita cittadina, gli obblighi, gli orari, ho visto anche molte occasioni belle e spunti per futuri slanci di coraggio – ci ha messo davanti a ciò che siamo veramente, a quello che il femminismo che credevamo aver abbattuto muri, in realtà non è riuscito a smantellare del tutto: il Carico Mentale a cui sentiamo obbligate senza possibilità di appello.

È necessario un nuovo femminismo, stavolta non in piazza ma nelle case e nei luoghi di lavoro, che ci cambi nelle parole, nelle routine, nei sensi di colpa e nella giustificazione dei comportamenti altrui.

Perché nessuno dica più che quello è un bravo marito perché aiuta la moglie.